Webster Jean - Papà Gambalunga.pdf

(962 KB) Pobierz
Jean Webster
Papà Gambalunga
(daddy long leg,1912)
Quel terribile mercoledì
Il primo mercoledì di ogni mese era un giorno davvero terribile! Un giorno atteso
con timore, da sopportare con coraggio e da dimenticare il più in fretta possibile.
Tutti i pavimenti dovevano essere puliti senza macchia, tutte le sedie senza un
granellino di polvere e tutti i letti rifatti senza una piega. Novantasette piccoli orfani,
bambini e bambine, andavano strigliati, pettinati e rivestiti dei loro abiti di cotone
inamidati a puntino; e a tutti e novantasette bisognava ricordare le buone maniere,
preparandoli a rispondere con garbo "Sissignore" e "No, signore" se una delle
autorità avesse loro rivolto la parola.
Era, insomma, una giornata stressante, e lo era soprattutto per la povera Jerusha
Abbott che, essendo l'orfanella con più anni, ne doveva sopportare il peso maggiore.
Ma, come tutti i precedenti, anche il mercoledì in cui comincia questa storia giunse a
termine, e Jerusha potè scappare dalla dispensa – dov'era rimasta per ore a farcire
le tartine per i patroni dell'istituto – e tornarsene al piano di sopra per dedicarsi alle
sue incombenze quotidiane.
A lei era affidata la cura della stanza F, dove undici marmocchietti fra i quattro e i
sette anni occupavano undici lettini, uno accanto all'altro. Jerusha radunò i bimbi
intorno a sé, rassettò i loro grembiuli disordinati e pulì i loro nasini; poi, disposti tutti
in un'ordinata fila indiana, li guidò verso il refettorio dove li lasciò, per una mezz'ora
beata, alle prese con il pane, il latte e la torta di prugne.
Solo allora Jerusha si lasciò cadere sulla panca sotto la finestra, appoggiando ai vetri
gelidi le tempie che le pulsavano: era in piedi dalle cinque del mattino, bombardata
di ordini che le piovevano addosso da ogni parte, scossa e tirata di qua e di là da una
direttrice nervosa. La signora Lippett, infatti, dietro le quinte non manteneva
sempre quella calma e quella pomposa dignità con la quale affrontava i membri del
consiglio e le dame in visita. La ragazza guardò fuori, oltre l'ampia distesa del prato
ghiacciato, al di là dell'alta cancellata di ferro che segnava i confini dell'orfanotrofio,
lungo il terreno collinoso punteggiato da tenute di campagna, fino ai tetti del
villaggio, che si intravedevano fra le cime degli alberi spogli.
La giornata era finita, e finita abbastanza bene, secondo lei: le autorità e i membri
del consiglio avevano fatto la loro ispezione, letto le loro relazioni, bevuto il tè, e ora
se ne stavano tornando in tutta fretta nelle loro case, a sedersi accanto a un vivace
caminetto acceso e a dimenticare per un altro mese i piccoli noiosi fastiti relativi
all'orfanotrofio.
Con il naso contro i vetri Jerusha seguiva con curiosità – e con una punta di invidia –
il flusso di auto e di carrozze che sfilavano uscendo dal cancello dell'istituto. Con la
fantasia seguiva il tragitto di un equipaggio dopo l'altro fino alle grandi dimore
disseminate sui pendii delle colline. Immaginava se stessa languidamente adagiata
sui cuscini, con indosso una pelliccia e in testa un cappello di velluto ornato di
piume, che ordinava con noncuranza all'autista: "A casa!"
Ma, una volta giunta sulla soglia, la scena si offuscava.
Eppure di immaginazione Jerusha ne aveva tanta: tanta, le ripeteva spesso la signora
Lippett, che doveva stare attenta se non voleva, un giorno, finire in qualche guaio.
Ma per vivace che fosse la sua fantasia, non era sufficiente per farle varcare la porta
d'ingresso delle dimore in cui avrebbe desiderato entrare. La povera, piccola
sognatrice nei suoi diciassette anni di vita non aveva mai messo piede in una casa
normale, e non poteva quindi nemmeno immaginarsi la vita quotidiana di quegli
esseri umani che non accudiscono agli orfanelli.
Je-ru-sha Ab-bot,
sei desi-de-rata in di-re-zione!
Corri in fret-ta…
sento odor di punizione!
Era la voce di Tommy Dillon che, mentre saliva le scale e avanzava lungo il corridoio
per andare a riferire il suo messaggio, faceva il verso ai cori di chiesa. La sua voce si
faceva sempre più alta man mano che si avvicinava alla stanza F. Jerusha si riscosse
allontanandosi dalla finestra: doveva tornare alle difficoltà della vita. «Chi mi
vuole?» domandò con una nota di acuta ansietà nella voce, interrompendo la nenia
di che, mentre saliva le scale e avanzava lungo il corridoio per andare a riferire il suo
messaggio, faceva il verso ai cori di chiesa. La sua voce si faceva sempre più alta man
mano che si avvicinava alla stanza F. Jerusha si riscosse allontanandosi dalla finestra:
doveva tornare alle difficoltà della vita. «Chi mi vuole?» domandò con una nota di
acuta ansietà nella voce, interrompendo la nenia di Tommy.
La direttrice ti aspetta, e mi sembra nervosetta! Aa-aa-men!
Il canto di Tommy aveva un'intonazione solenne, ma non proprio maliziosa. Anche il
più discolo degli orfani avrebbe provato compassione per una compagna chiamata a
presentarsi nell'ufficio per affrontare l'arcigna direttrice. Tommy poi, voleva bene a
Jerusha, anche se lei più di una volta lo aveva strattonato per il braccio e gli aveva
quasi strappato via il naso per pulirglielo a dovere.
Jerusha si avviò senza fare commenti, la fronte segnata da due piccole rughe
parallele. Che cosa era andato storto?, si chiese inquieta. Le tartine non erano state
tagliate abbastanza sottili? C'erano dei pezzetti di guscio nelle torte di noci? Una
visitatrice aveva forse notato il buco nelle calze di Susie Hawthorn? Oppure, orrore
degli orrori, uno di quei serafici orfanelli del dormitorio F aveva dato una risposta
impertinente a un consigliere?
Nel lungo atrio al pianterreno non erano ancora state accese le luci, e mentre
Jerusha scendeva le scale scorse un ultimo consigliere che ancora indugiava sulla
soglia del portone spalancato che immetteva nella corte esterna. Jerusha lo vide
appena – e l'impressione che ne ricavò era sostanzialmente quella di un uomo alto,
che faceva un cenno col braccio verso un'automobile ferma, in attesa, sulla curva del
viale.Nel lungo atrio al pianterreno non erano ancora state accese le luci, e mentre
Jerusha scendeva le scale scorse un ultimo consigliere che ancora indugiava sulla
soglia del portone spalancato che immetteva nella corte esterna. Jerusha lo vide
appena – e l'impressione che ne ricavò era sostanzialmente quella di un uomo alto,
che faceva un cenno col braccio verso un'automobile ferma, in attesa, sulla curva del
viale.
Come il motore fu acceso e il veicolo cominciò ad avvicinarsi, la luce abbacinante dei
fari proiettò l'ombra del consigliere sul muro interno dell'atrio: una figura grottesca
– con gambe e braccia che non finivano più – che correva sul pavimento e poi si
arrampicava su per le pareti del corridoio. Ricordava proprio un grosso ragno che si
dondolava sulle sue zampette lunghe e sottili, quello che viene comunemente
chiamato dai ragazzini americani "papà gambalunga".
L'ansia di Jerusha si sciolse di colpo in una breve risata. La giovane era una creatura
solare di natura, pronta a cogliere i lati comici delle cose e delle situazioni intorno a
lei. Ci si poteva proprio divertire anche osservando un consigliere, pensò! Rallegrata
da quel piccolo episodio entrò nell'ufficio della signora Lippett con il sorriso ancora
stampato sulla faccia. Con una certa sorpresa notò che l'autorevole matrona aveva
un'aria se non proprio sorridente, per lo meno quasi affabile: sul suo volto vi era la
stessa espressione compiaciuta che aveva sfoggiato quel pomeriggio per i visitatori.
«Siediti, Jerusha, ho qualcosa da dirti» disse.
Jerusha si sedette sulla sedia più vicina e attese con un po' di batticuore.
Un'automobile sfrecciò davanti alla finestra e la signora Lippett la seguì con lo
sguardo. «Hai notato il signore che se n'è appena andato?»Jerusha si sedette sulla
sedia più vicina e attese con un po' di batticuore. Un'automobile sfrecciò davanti alla
finestra e la signora Lippett la seguì con lo sguardo. «Hai notato il signore che se n'è
appena andato?»
«L'ho visto solo di spalle.»
«È uno dei nostri consiglieri più ricchi e ha sempre contribuito con notevoli somme
di denaro al sostentamento del nostro orfanotrofio. Ho avuto il divieto di fare il suo
nome: ha messo come precisa condizione quella di rimanere sconosciuto.»
Jerusha spalancò leggermente gli occhi; non era abituata a essere convocata in
direzione per parlare con la signora Lippett delle stranezze dei consiglieri.
«Questo signore si è interessato a molti dei nostri ragazzi. Ti ricordi di Charles
Benton e Henry Freize? Sono stati mandati entrambi all'università a spese del
signor… ehm, del signor consigliere. E tutti e due hanno ripagato studiando con
grande impegno, e ottenendo ottimi risultati, il favore loro riservato con tanta
Zgłoś jeśli naruszono regulamin